La lavoratrice si vedeva costretta a ricorrere al Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Reggio Calabria al fine di ottenere, anche in via di urgenza, a far luogo al trasferimento con il riconoscimento dei benefici di cui all’art. 33 commi della legge 104/92, nonché ai sensi dell’art. 42 bis del D. Lgs. 151 del 2001. La ricorrente nel 2023 stipulava regolare contratto di lavoro a tempo indeterminato con la qualifica di O.S.S. ex cat. Bs e prendeva servizio presso il Grande Ospedale Metropolitano “Bianchi-Melacrino-Morelli”di Reggio Calabria. Ciò a seguito di chiamata diretta conseguente allo scorrimento di graduatoria degli idonei  di un concorso per titoli ed esami sostenuto presso l’A.O. di Cosenza da 600 idonei (grazie ad un ricorso collettivo, seguito sempre dal nostro Studio, con vittoria al Consiglio di Stato). La lavoratrice a distanza di circa un anno dalla presa di servizio, purtroppo si rendeva conto che la distanza tra il luogo di lavoro in Reggio Calabria e la sua residenza familiare in Sicilia rendeva oltremodo difficoltoso far fronte alle necessità familiari, che nel frattempo erano diventate più gravose. Infatti già mamma di una bambina,  dava alla luce il suo secondo figlio. Il marito della lavoratrice presta la propria attività lavorativa all’ASP di Messina e non è in grado di occuparsi da solo di entrambi i bambini in così tenera età, in quanto richiedono l’assistenza continua della mamma, fondamentale per una crescita sana ed equilibrata. Pertanto già in data 22.07.2024 la lavoratrice faceva istanza al GOM di Reggio Calabria ex art. 42 bis d-Lgs 151 /2001 per un trasferimento in sede più agevole. Tale richiesta veniva prima vagliata dal GOM di Reggio Calabria verificando “… la possibilità di reclutareuna unità di personale a tempo determinato, di pari profilo professionale” e poi, nonostante il riscontro positivo dell’ASP di Messina veniva negato il trasferimento a seguito del generico parere negativo offerto dal Direttore ff della UOC Medicina e Chirurgia di Accettazione e d’Urgenza del GOM nel mese di ottobre 2024 che così motivava : “ … alla luce della grave carenza d’organico si da parere NEGATIVO” . La ricorrente, inoltre, già de tempo si prende cura della sorella disabile e la situazione familiare diventava insostenibile. Allo scopo si illustrava la situazione familiare in tutti i suoi aspetti. In particolare si faceva presente che, nonostante tutto, l’istante era presente per i bisogni familiari, superando le difficoltà oggettive legate alla distanza tra la residenza e il posto di lavoro, ma che sia la situazione dei figli, in particolare del neonato, unitamente allo stato di salute della sorella necessitavano  di una attenta assistenza e vigilanza con presenza, in particolare in relazione alla patologia della sorella, che è bisognevole della costante  presenza della figura della ricorrente, essendo lei sola in grado di garantire il benessere essenziale per la riuscita della terapia e dovendo svolgere diligentemente l’incarico conferito dal Tribunale di Amministratore di sostegno. Visto il rigetto si interponeva ricorso al Giudice del lavoro e in diritto si eccepiva : Mancata  applicazione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92, come modificato dalla legge n. 53/2000 e successivamente dall’art. 24 comma 1 lett. B L. 183/2010 n. 104/92. Violazione dei principi di trasparenza, eguaglianza, buon andamento e ragionevolezza, di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione e art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241. Assenza di istruttoria e illogicità manifesta. Mancata  applicazione  dell’art. 42 bis del D.Lgs del 26.03.2001 n. 151. Omissione d’istruttoria, disparità di trattamento, illogicità ed ingiustizia manifeste.

L’amministrazione sanitaria ha omesso, inoltre, di istruire la relativa procedura per il trasferimento della lavoratrice, configurando l’ipotesi del silenzio rigetto. L’assenza di una effettiva fase endoprocedimentale, per sua natura chiarificatrice, ha determinato un comportamento negatorio in aperta violazione dei principi di trasparenza, eguaglianza, buon andamento e ragionevolezza, di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione e dello stesso art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241. Si è infatti configurata l’ipotesi di omissione d’istruttoria che ha reso vana la possibilità di confronto tra la parte istante e l’amministrazione sanitaria, così che quest’ultima  ha deciso in assoluta autodeterminazione in senso negativo. Fra l’amministrazione e la dipendente non si è instaurato, quindi, un reale contraddittorio, impedendo così l’integrazione e/o chiarimento delle sue ragioni, in aperta violazione dei principi di trasparenza, eguaglianza, buon andamento e ragionevolezza, di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione. L’instaurazione di un corretto procedimento amministrativo, previsto dallo stesso art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, ha appunto lo scopo si contemperare e mettere a confronto le esigenze e le criticità reciproche che possono intervenire in relazione a provvedimenti che vengono ad incidere nell’interazione tra amministrazione e lavoratore.  Già di per sé un tale comportamento omissivo costituisce una grave violazione dei diritti della  lavoratrice.

Com’è noto la Corte Costituzionale ha sempre considerato fondamentale la centralità del ruolo della famiglia nell’assistenza del disabile, in particolare, nel soddisfacimento dell’esigenza di socializzazione quale fondamentale sviluppo della personalità e idoneo strumento di tutela della salute del disabile intesa nella sua accezione più ampia (in particolare Corte Cost.  sent. N. 350 del 2003).  Lo scopo della L. n. 104/1992 è, com’è noto, quello di tutelare, sotto l’egida degli artt. 2, 32 e 38 Cost., il diritto del disabile all’espressione piena della sua personalità e delle sue relazioni sociali, rimuovendo gli ostacoli che vi si frappongono, scopo che è perseguito anche attraverso la previsione di misure che agevolano l’intervento dei familiari lavoratori che di loro si occupano (argomenta da Cass. n. 8793/2020, Corte Cost. n. 215/1987, n. 203/2013, n. 232/2018). Questo diritto è stato poi recepito nella Direttiva 2000/78/CE, attuata nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. n. 216/2003, che, nello stabilire il quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro indipendentemente dalla situazione di handicap (che qui interessa), prescrive a tal fine al datore di lavoro l’adozione di “accomodamenti ragionevoli” della sua organizzazione d’impresa, ossia l’adozione di quelle modifiche e adattamenti necessari e appropriati, che, senza imporre un onere sproporzionato o eccessivo, siano comunque idonei a consentire la rimozione dei predetti ostacoli. La Corte di Giustizia ha peraltro chiarito che tale Direttiva si applica anche ai familiari lavoratori che prestano assistenza al portatore di handicap (v. sentenza 17 luglio 2008, Coleman C-303/06). Inoltre l’istituto del trasferimento ex art. 33 della legge n. 104/1992 ha natura autonoma e distinta rispetto alle ordinarie e comuni procedure di mobilità orizzontale del personale. Infatti, nel caso del congiunto del portatore di handicap grave ci si trova di fronte ad un diritto soggettivo di fonte legale che ha natura tendenzialmente assoluta, col solo limite della possibilità di rispetto delle esigenze organizzative datoriali.

Si eccepivano altri motivi di diritto e prima dell’udienza di discussione dell’incidente cautelare l’amministrazione di partenza (GOM di Reggio Calabria) riconosceva in sede di autotutela il diritto al trasferimento ai sensi dell’art. 42 bis del D. Lgs. 151 del 2001 per la durata di anni tre!

A questo punto la difesa della lavoratrice (rappresentata dal nostro Studio) ha rinunciato alla procedura di urgenza e ha mantenuto solo il merito del ricorso avendo cercato il trasferimento anche ex legge 104 del 1992.

L’amministrazione ricevente ha espresso parer favorevole ad accogliere la lavoratrice e in data 16.05.2025 si notificava delibera di trasferimento!

Giustizia è fatta !

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