Nel prossimo periodo la Suprema Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, sarà chiamata a decidere su un ricorso presentato nel 2016 dallo Studio degli Avvocati CIAMBRONE & MASCARO a favore di una impresa torinese.
La vicenda trae origine sulla logica, ed immune da vizi, interpretazione della prova testimoniale e cartolare su una vicenda che vede coinvolta una impresa di Torino. In altri termini sul principio del libero convincimento, sull’apprezzamento delle prove, che non può travalicare in libero arbitrio!
Il tema del controllo della Corte di Cassazione sul malgoverno della regola dell’onere della prova da parte del giudice di merito e` meritevole di approfondimento anche teorico, e sembrerebbe notevolmente piu`intricato di quanto emerge dal dato giurisprudenziale.
Com’è noto è stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la questione del se, ed eventualmente in che ambito, sia esperibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di inammissibilità dell’appello affetta da vizi propri di omessa pronuncia su un motivo di gravame con cui sia stata sollevata una censura di puro merito (Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria n. 223/15 depositata il 12 gennaio 2015).
La tesi favorevole. Un primo orientamento (Cass., n. 7273/2014) effettua una distinzione a seconda delle motivazioni poste a base della pronuncia di inammissibilità. In particolare, secondo questa tesi, il ricorso per cassazione non è esperibile allorché l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-ter c.p.c. sia emanata nell’ambito suo proprio, cioè per manifesta infondatezza nel merito del gravame, non avendo la stessa carattere definitivo, dal momento che il terzo comma del medesimo art. 348-ter consente di impugnare per cassazione il provvedimento di primo grado. Viceversa, tale ordinanza è ricorribile per cassazione ove dichiari l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, essa avendo, in tal caso, carattere definitivo e valore di sentenza, in quanto la declaratoria di inammissibilità dell’appello per questioni di rito non può essere impugnata col provvedimento di primo grado e, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., deve essere pronunciata con sentenza.
La tesi contraria. Di contro, un secondo orientamento (Cass., n. 8940/2014) ritiene che il ricorso per cassazione, sia ordinario che straordinario, non sia mai esperibile avverso l’ordinanza che dichiari l’inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c., e ciò a prescindere dalla circostanza che essa sia stata emessa nei casi in cui ne è consentita l’adozione, ovvero al di fuori di essi. A ciò osta, quanto all’esperibilità del ricorso ordinario, la lettera dell’art. 348-ter, comma 3, c.p.c., che definisce impugnabile unicamente la sentenza di primo grado. Quanto al ricorso straordinario, invece, lo stesso deve ritenersi escluso in ragione della non definitività dell’ordinanza, dovendosi valutare tale carattere con esclusivo riferimento alla situazione sostanziale dedotta in giudizio, della quale si chiede tutela, e non anche a situazioni aventi mero rilievo processuale, quali il diritto a che l’appello sia deciso con ordinanza soltanto nei casi consentiti, nonché al rispetto delle regole processuali fissate dall’art. 348-ter c.p.c.
Rimessione alle Sezioni Unite. Ebbene, richiamati i due orientamenti e rilevato il contrasto tra gli stessi, i Giudici di legittimità hanno ritenuto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione dei ricorsi riuniti alle Sezioni Unite.
Conseguentemente, in relazione ai requisiti di contenuto e forma che deve possedere il ricorso per Cassazione ex art. 348-ter c.p.c., abbiamo fatto espressa menzione sia dell’integrale motivazione dell’ordinanza d’inammissibilità e sia dei motivi di appello (ai sensi dell’art. 366 c.p.c.). Questo proprio affinché sia evidente che sulle questioni rese oggetto del presente giudizio di legittimità non si sia formato alcun giudicato interno, essendo state prospettate adeguatamente al giudice di appello.
Abbiamo indicato, inoltre, espressamente i documenti su cui si fondano i motivi con la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti sui quali il ricorso si fonda e indicando ove il documento è rintracciabile nel processo in esame attraverso, ovviamente, la sua regolare produzione in sede di legittimità.
Si è cercato di richiamare e seguire, inoltre, i principi già enunciati nell’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI civile, n. 12034 del 28.05.2014.
La norma di cui sopra, hanno sottolineato gli Ermellini, ai fini della determinazione del termine breve perentorio per proporre il ricorso, rinviando alla previsione generale di cui all’art. 325, comma 2, c.p.c. , indica come termine di decorrenza la comunicazione da parte della cancelleria dell’ordinanza di inammissibilità, ex artt. 348 bis e ter c.p.c. . Gli Ermellini che ci leggono hanno affermato il principio di diritto per cui, in materia di ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 348 ter, comma 3, c.p.c. , «il termine perentorio breve di sessanta giorni decorre ordinariamente dalla comunicazione dell’ordinanza di dichiarazione di inammissibilità dell’appello, con la conseguenza che la data di quest’ultima è , non solo presupposto dell’impugnazione, ma anche requisito essenziale (di contenuto-forma) del ricorso introduttivo».
Com’è noto il ricorso in Cassazione è previsto per gli errori in procedendo (vizi di attività) ed errori in giudicando (vizi di giudizio).
L’errore in procedendo è rilevabile dalla Suprema Corte anche se cade sul fatto.
L’errore in giudicando da luogo al riesame e costituisce motivo di Cassazione solo se è errore di diritto.
Queste osservazioni giovano a mettere in guardia contro consuete e pericolose esagerazioni, qual è quella che la Corte di Cassazione giudichi solo in diritto: ciò è vero, nel senso che essa non può rilevare errori di fatto, ma solo se questi siano errori di giudizio; quanto invece ai vizi di attività (errori in procedendo) la Corte li rileva tanto se cadono sul diritto quanto se riguardino la premessa di fatto.
A parere della ricorrente il Tribunale di Torino, consequenzialmente la Corte di Appello, ha errato nel porre la norma di diritto per un verso (e quindi violazione di legge) e per l’altro ha consumato falsa applicazione in quanto, seppur per alcuni aspetti, pur avendo rettamente inteso alcune norme ha sbagliato nel ricavare da questa premessa la logica conseguenza.
Bisogna riconoscere che la distinzione ora accennata non riguarda affatto la gravità della ingiustizia rispetto alla parte; che torto sia stato fatto alla ricorrente dal Giudice perché egli ha valutato malamente il fatto o ha interpretato malamente il diritto, questo è per la ricorrente indifferente; come è in massima, indifferente al derubato che il furto sia avvenuto di giorno o di notte.
Però non è indifferente alla res publica, perché l’errore di diritto ha (se sia lecito al ricorrente il paragone, come il furto notturno o il furto con scalata) una maggiore pericolosità sociale.
Gli Avvocati Ciambrone & Mascaro hanno sollecitato la Suprema Corte a voler imprimere quell’ indirizzo interpretativo uniforme che è stato violato nella causa in esame.
Si potrebbe, ancora, dire che l’errore di diritto, a differenza dell’errore di fatto, è un errore che, in massima, fa scandalo.
Il fatto è una cosa che riguarda le parti, il diritto riguarda tutti!
Di più l’errore di diritto, a differenza dell’errore di fatto, è contagioso; ha attitudine a propagarsi attraverso la Autorità dei precedenti (auctoritas rerum similiter indicatarum).
Com’è noto le precitate osservazioni toccano il germe più profondo dell’Istituto della Cassazione.
I grandi Autori (CARNELUTTI; CALAMANDREI; SATTA; FERRI ed Altri) ci hanno insegnato che per distinguerli è necessario scomporre con cura la sentenza nei sui vari sillogismi (preparazione anatomica) per poi verificarli.
Com’è noto la distinzione tra errore di diritto e errore di fatto è assai netta, ma può perdere molta della sua chiarezza quando la trama della sentenza, come nel caso che ci vede occupati, vada complicandosi nel modo e per le ragioni esposte in precedenza fino a diventare veramente difficile in alcuni passaggi. Il miglior modo per vincere questa difficoltà è quello di scomporre con cura la sentenza nei suoi vai sillogismi (quella che CARNELUTTI definiva “…una accurata preparazione anatomica” cfr. Lezioni di Diritto Processuale Civile, Volume IV, Edizioni CEDAM , Padova 1926).
Quando in un sillogismo (decisorio o probatorio) si rintraccia come premessa maggiore la posizione di una norma giuridica, ivi può essere la sede di un errore di diritto, nella premessa medesima o nella conclusione. La violazione di legge è l’errore che interessa la premessa maggiore; falsa applicazione quello che interessa la conclusione.
Alla Seconda Sezione Civile della Cassazione ora la decisione !