ARBITRATO: Art. 86 della Manovra Finanziaria ,per chi suona la campana ?
La Finanziaria abbozzata in questi giorni (art. 86 della manovra) intende calare la scure sugli arbitrati che coinvolgono la P.A. ed i privati che si trovano a contrattare con essa. Un colpo di spugna al giudizio arbitrale, con efficacia retroattiva, con il divieto espresso di costituire collegi arbitrali a far data dal 30 settembre 2007. La norma, se confermata, entrerà in vigore a partire dal 01° gennaio 2008. Il divieto è esteso a tutto il settore pubblico, compresi gli enti locali (cfr. “Il Sole 24 Ore” del 02 ottobre 2007). Già da subito molte amministrazioni si stanno adeguando escludendo le clausole compromissorie nei loro contratti ed “imponendo”, nella fase patologica del contratto, il Giudice Ordinario. Le motivazioni che stanno alla base del provvedimento governativo sono sostanzialmente due: 1) gli elevati costi della giustizia arbitrale (parcelle liquidate sino a due milioni di euro); 2) la soccombenza (pari al 65% dei casi) della P.A. a favore del contraente privato. Dobbiamo subito dire, prima di fare un breve esame della figura del giudizio arbitrale, che per quanto attiene ai costi bisogna guardare al c.d. “valore aggiunto” di tale giudizio rispetto a quello ordinario e ricordare che è più costosa l’ingiustizia dovuta alla lentezza del giudizio ordinario. Nelle peggiori delle ipotesi è stato calcolato che un giudizio arbitrale può durare più di 700 giorni ma tutti sanno che un giudizio ordinario dura, in media, 2.555 giorni ! Il divieto di arbitrato, fra l’altro, potrebbe far sorgere problemi anche sul piano comunitario in quanto diverse norme internazionali lo richiedono obbligatoriamente. Già in passato la Camera Arbitrale, istituita presso l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, aveva inviato segnali allarmanti circa la sua funzione ed operatività che oggi, alla luce dell’art. 86 della Manovra Finanziaria, tornano più cha mai di attualità. L’articolo 86 affonda le sue radici storiche nella decisione dei Giudici di Piazza Capo di Ferro (Sez. IV del 17 ottobre 2003, n. 6335) cui si indicava la illegittimità della disciplina prevista dagli art. 150 e 151 del regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, secondo la quale la nomina del terzo arbitro con funzioni presidenziali è rimessa alla Camera arbitrale per i lavori pubblici. L’art. 150, infatti, norma regolamentare, esorbita dai limiti fissati dalla normativa primaria e sottrae alla volontà delle parti la libera scelta del terzo arbitro; inoltre la istituzione arbitrale non risponde ai requisiti di terzietà richiesti dalla Costituzione per tutti i giudici e per tutti i giudizi. Allo stato, in estrema sintesi, abbiamo due modelli di arbitrato: 1) quello gestito dalla Camera Arbitrale (disciplinato dal Decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163) con sede in Roma; 2) quello c.d. libero (disciplinato dal codice di rito agli artt. 806 e segg.) in cui la nomina del terzo arbitro e della sede territoriale sono lasciati al Presidente del Tribunale del luogo ove è stato stipulato il contratto ovvero è stata realizzata l’Opera pubblica. Per gli onorari da applicare agli Arbitri (di solito ogni parte nomina il proprio arbitro) si prendono a parametro le tariffe riportate per la Camera arbitrale e quelle professionali di ogni categoria per l’arbitrato c.d. libero. Nel caso di collegi a composizione professionale mista (avvocati, ingegneri, architetti ecc.) è opportuna la constatazione che l’art. 24 della legge 04 agosto 2006 n. 248 (c.d. legge milleproroghe) ha previsto l’applicabilità delle tariffe degli avvocati (approvate con Decreto Ministeriale 08 aprile 2004 n. 127) per tutti gli arbitrati rituali. Sul punto la stessa Suprema Corte di Cassazione (Sez. II del 13 aprile 2005, n. 11128) si era già espressa censurando l’applicazione delle tariffe allegate al D.M. 02 dicembre 2000 che riguardano un arbitrato del tutto diverso da quello disciplinato dal codice di rito al quale le parti avevano fatto riferimento. La c.d. svista del decreto BERSANI (corretta poi dal Ministro DI PIETRO dal primo agosto 2007) ha consentito di non dover subire delle tariffe calmierate. Il giudizio arbitrale, com’è noto, si instaura con la notifica di un atto di accesso a cui la controparte risponderà con un atto di resistenza ed eventuale domanda riconvenzionale. Entrambi gli atti possono contenere la nomina del proprio arbitro che provvederà contestualmente ovvero successivamente alla relativa accettazione dell’incarico. Le conclusioni dovranno essere formulate con quesiti da sottoporre al Collegio arbitrale. Se le parti, com’è noto, non raggiungono l’accordo sulla scelta del terzo arbitro in funzione di Presidente si procederà alla presentazione di una istanza di nomina da inoltrasi alla Camera Arbitrale in Roma (per gli arbitrati disciplinati dal D.Lgsl. 163/2006) ovvero al Presidente del Tribunale Ordinario del luogo della stipulazione del contratto (per gli arbitrati disciplinati dal codice di procedura civile). Attualmente si sostiene che la P.A. debba “subire” la gestione della Camera arbitrale nel caso di mancato accordo sulla scelta congiunta del terzo arbitro ovvero nel caso di manifesta volontà di non pervenire ad alcun accordo con la controparte. In questa caso la sede territoriale viene incardinata in Roma se le parti non concordano su altra sede coincidente, anche, con quella dell’Osservatorio regionale (ex art. 243, comma 3°, del D. Legsl. 163/2006). Investita dell’istanza la Camera arbitrale provvede alla estrazione preliminare informatica di quindici nominativi (individuati nelle materie di competenza tecnico-giuridica) su cui operare la scelta (entro le 48 ore successive all’estrazione) congiunta delle parti del giudizio. In caso di mancato accordo si procederà ad ulteriori operazioni sino a giungere alla nomina dell’arbitro in funzioni Presidenziali. Nel caso dell’arbitrato disciplinato dal codice di rito, l’istanza di nomina del terzo arbitro verrà inoltrata al Presidente del Tribunale che provvederà a nominarlo scegliendolo fra gli elenchi dei C.T.U.. All’esito il Collegio arbitrale si costituirà in riunioni e procederà all’istruzione della controversia sino a giungere al deposito del lodo (che sarà omologato a cura della parte, di solito, vittoriosa). Ciò che ci si chiede, a seguito dell’art. 86 della Manovra Finanziaria, è che fine faranno tutte le procedure incardinate presso la Camera arbitrale dal 30 settembre 2007 e sino al 01 gennaio 2008 ? Il divieto verrà mantenuto, in sede di approvazione, con efficacia retroattiva ovvero costituirà “l’arma di scambio” con le forze che si opporranno a tale opzione legislativa ? Ciò che ci preme sottolineare è che non convince la considerazione che è meglio per la P.A. non accedere al giudizio arbitrale in quanto nel 65% dei casi risulta la parte soccombente, in quanto se la P.A. ha torto anche nel giudizio ordinario perderà il 65% delle cause. Circa la durata abbiamo già detto in precedenza e se la durata max. di un arbitrato arriva a toccare i 700 giorni, quello del giudizio ordinario tocca i 2555 giorni (media nazionale 07 anni per una causa civile) e quindi il giudizio arbitrale è certamente più veloce di quello ordinario. Circa i costi della giustizia arbitrale è da evidenziare che ogni P.A. che si farà rappresentare da liberi professionisti (specialmente nella materia degli appalti che richiede una specifica competenza) dovrà “subire” le stesse tariffe professionali forensi che si applicano, indistintamente, sia nel giudizio arbitrale che in quello ordinario. L’unica voce di “risparmio” sarà composta dall’onorario del Collegio arbitrale ma inciderà sulla mancanza di quel c.d. “valore aggiunto” che un Collegio del genere riesce a dare in delicate e complesse controversie. Il risparmio precitato verrà controbilanciato da un costo più alto che è quello di dover subire l’ingiustizia di una giustizia ordinaria lenta ed impacciata (non per proprie responsabilità bensì per le croniche carenze di organico e di mezzi). Una divieto di Arbitrato doveva essere necessariamente preceduto da un rinforzo di uomini e mezzi della giustizia ordinaria al fine di equiparare la durata media della controversia fra i due settori. Per chi suona la campana ? Per la Camera arbitrale ovvero per il giudizio arbitrale ? Ai giudici l’ardua sentenza!
(Avv. Luigi CIAMBRONE)