Il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Locri (Rc) ha accolto il ricorso presentato da una dottoressa dipendente ASP di Reggio Calabria, difesa e rappresentata dallo Studio Legale Ciambrone-Mascaro & Partners, che ha prestato servizio presso l’Ospedale cittadino circa il pagamento di ferie non godute. L’ASP di Reggio Calabria si è opposta in quanto la vicenda singola, ovviamente, avrebbe aperto le strade – per come è successo- ad una serie di ricorsi seriali di altri operatori sanitari.

In giuoco non vi era un solo ricorso bensì una più ampia tutela di centinaia di operatori sanitari del settore a cui il nostro Studio ha rivolto la sua attenzione per il loro buon diritto in molteplici sedi giudiziarie.

La sentenza del 25.07.2023 (G.L. Dott.ssa Maria FENUCCI) si segnala per una interessante motivazione sia di diritto interno che, soprattutto, di diritto comunitario.

Si legge: “Secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 307, pag. 18), che è stata codificata dalla direttiva 2003/88 (v. sentenze 26 giugno 2001, causa C 173/99, BECTU, Racc. pag. I 4881, punto 43; 18 marzo 2004, causa C 342/01, Merino Gómez, Racc. pag. I 2605, punto 29; 16 marzo 2006, cause riunite C 131/04 e C 257/04, Robinson-Steele e a., Racc. pag. I 2531, punto 48, nonché 20 gennaio 2009, cause riunite C 350/06 e C 520/06, Schultz-Hoff e a., Racc. pag. I 179, punto 22).”

“Tale Convenzione è stata firmata da quattordici Stati membri dell’Unione europea, tra cui l’Italia.
A tenore dell’art. 7 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, “ferie annuali”: “1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali. 2. Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”.

Ed ancora: “L’art. 17 della direttiva 2003/88 prevede che gli Stati membri possano derogare a talune disposizioni di quest’ultima: l’art. 7 della direttiva non rientra tra le disposizioni alle quali è consentito derogare.
La principale novità della disciplina legislativa nazionale del 2003-2004 consiste, dunque, nella determinazione di un periodo minimo inderogabile di ferie, conformemente alla prescrizione comunitaria.
La possibilità di indennizzare ferie non godute contrasta con la previsione stessa di irrinunziabilità, in quanto potrebbe incentivare una pur consensuale rinunzia illegittima alla loro fruizione; al contrario, la Costituzione intende affermare proprio l’indispensabilità dei riposi e delle ferie per la funzione che li caratterizza.
Pertanto, il periodo minimo di ferie non può, secondo la norma, esser sostituito dalla relativa indennità in corso di rapporto.
E’ prevista la salvezza del diritto nel caso di risoluzione del rapporto, espressione che si presta a ricomprendere qualsiasi ipotesi di cessazione del rapporto, potendosi tuttavia proporre nelle diverse ipotesi risolutive problematiche più articolate.
Tuttavia, tale previsione non può essere dissociata dalla natura “annuale” delle ferie, con il correttivo apportato dall’attuale co. 1 (possibilità di fruizione di due settimane nei 18 mesi successivi all’anno di maturazione).
Infatti, si tratta di ferie maturate, che avrebbero potuto regolarmente esser fruite in un successivo periodo, nel limite indicato, la cui fruizione è resa impossibile dalla cessazione del rapporto e dalla sua modalità risolutiva.
Al di là di questa necessaria salvezza, l’indennizzabilità delle ferie non godute non può aver luogo, per effetto di una norma inderogabile, di ordine pubblico, in quanto, se fosse consentito monetizzare le ferie a piacimento, senza limite temporale, il contrasto con l’irrinunziabilità sarebbe evidente.”

“L’indennizzabilità riguarda solo quelle ferie che la risoluzione del rapporto rende impossibile fruire nel limite temporale previsto dalla legge.
Se la regola è l’impossibilità di monetizzazione, il discorso va integrato con un profilo di responsabilità, poiché la mancata fruizione deve essere dipesa da fatto del lavoratore e non da un’imposizione, illegittima, datoriale. In altre parole, il lavoratore deve avere effettivamente avuto la possibilità di esercitare il diritto.
In merito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 2012/11462, ha affermato che: “in relazione al carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche dall’art. 36 Cost. e dall’art. 7 della direttiva 2003/88/CE (v. la sentenza 20 gennaio 2009 nei procedimenti riuniti c-350/06 e c-520/06 della Corte di giustizia dell’Unione europea), ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva che ha, per un verso, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene (il riposo con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali, l’opportunità di svolgere attività ricreative e simili) al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è destinato e, per altro verso, costituisce erogazione di indubbia natura retributiva, perché non solo è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, quale rapporto a prestazioni corrispettive, ma più specificamente rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali, restando indifferente l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle stesse. Ne consegue l’illegittimità, per contrasto con norme imperative, delle disposizioni dei contratti collettivi che escludano il diritto del lavoratore all’equivalente economico di periodi di ferie non goduti al momento della risoluzione del rapporto, salva l’ipotesi del lavoratore che abbia disattesa la specifica offerta
della fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro (nella specie, relativa ad impossibilità del lavoratore di fruire delle ferie in ragione del suo stato di malattia cui è seguita la risoluzione del rapporto, la S.C. , nell’affermare il principi su esteso, ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso il diritto del lavoratore sulla base dell’art. 19, commi 8 e 15, del c.c.n.l. scuola per il quadriennio normativo 1994-1997, che subordina il diritto all’indennità sostitutiva alla mancata fruizione per esigenze di servizio)”.

Nel più recente pensiero della Corte di Giustizia, dunque, una interpretazione rigorosa della funzione delle ferie ben può portare, entro certi limiti, nella concretezza dei casi, alla vera e propria estinzione del diritto.
Nella decisione da ultimo riportata, la Corte non specifica se, a seguito della estinzione del diritto alle ferie, si debba reputare estinto anche il diritto all’indennità sostitutiva (in tal senso chiaramente la conclusione dell’Avvocato Generale, punto n. 78), ma sembrerebbe piuttosto chiara e logica, anche in forza della natura secondaria e accessoria della prestazione in parola, la soluzione omogenea.

Ed ancora: “È cronaca (confermata dalla presente controversia), che i comportamenti delle parti, datori di lavoro e lavoratori, in sede applicativa, si siano patologicamente discostati da quei lineamenti, per molteplici fattori, moltiplicando le anomale situazioni di progressivo accumulo di ferie non godute, per generiche esigenze di servizio, con una grave incidenza sulla spesa pubblica per il costo del personale.
Sovente si verifica l’anomalia di un eccessivo accumulo di ferie (senza apparente responsabilità datoriale), che vengono a perdere completamente la propria prevalente funzione; infatti, l’aspettativa ad un’indennità sostitutiva si presta sia a favorire una rinuncia inammissibile alla tempestiva fruizione, con consenso prestato dal lavoratore ed avallato implicitamente dal datore di lavoro, in materia indisponibile, sia ad arrecare un indubbio pregiudizio alle ragioni di contenimento di spesa.
Pertanto, ai fini della liquidazione dell’indennità sostitutiva di ferie non godute, fruibile solo al termine del rapporto di lavoro, per le ragioni esposte, è necessario che il richiedente fornisca la prova dell’impossibilità indefettibile per il lavoratore di fruire delle ferie maturate e non godute in corso di rapporto.”

Il Giudice così conclude: “Orbene, il divieto di corresponsione di trattamenti economici sostitutivi per le ferie non godute non si applica nei casi in cui il loro mancato godimento dipenda da cause non imputabili al lavoratore, dovendosi invece ritenere operante il divieto tutte le volte in cui il dipendente abbia avuto la possibilità di richiederle e di fruirne (Cons. Stato. Sez. IV, 12 ottobre 2020, n. 6047): nella specie, pur non essendo stata allegata un’istanza di godimento di ferie, detta impossibilità è stata certificata dallo stesso datore di lavoro e risulta avvalorata dalla circostanza che la ricorrente ha lavorato in virtù di un contratto a termine, sia pure oggetto di una proroga, e, dunque, destinato ad esaurirsi nel tempo.
Nondimeno, la ricorrente ha dimostrato le notevoli scoperture di organico, che ella stessa è stata chiamata a coprire in prima persona in virtù del contratto a termine stipulato e poi oggetto di proroga.”Orbene, il divieto di corresponsione di trattamenti economici sostitutivi per le ferie non godute non si applica nei casi in cui il loro mancato godimento dipenda da cause non imputabili al lavoratore, dovendosi invece ritenere operante il divieto tutte le volte in cui il dipendente abbia avuto la possibilità di richiederle e di fruirne (Cons. Stato. Sez. IV, 12 ottobre 2020, n. 6047): nella specie, pur non essendo stata allegata un’istanza di godimento di ferie, detta impossibilità è stata certificata dallo stesso datore di lavoro e risulta avvalorata dalla circostanza che la ricorrente ha lavorato in virtù di un contratto a termine, sia pure oggetto di una proroga, e, dunque, destinato ad esaurirsi nel tempo.
Nondimeno, la ricorrente ha dimostrato le notevoli scoperture di organico, che ella stessa è stata chiamata a coprire in prima persona in virtù del contratto a termine stipulato e poi oggetto di proroga.

Non è stato, dunque, provato dal datore di lavoro che la ricorrente sia stata messa in concreto nella situazione di poter godere delle ferie.
Né il datore di lavoro ha provato di aver esercitato tutta la necessaria diligenza affinché la ricorrente fosse posto concretamente in condizioni di fruire delle ferie annuali.

Alla luce di quanto argomentato, tenendo anche conto della recentissima giurisprudenza della Corte di Cassazione (cassazione civile sezione lavoro n. 13613/2020) il ricorso è stato accolto !

Categorie: Notizie